Cancelliere: “Si colleghi a teams” ore. 10.30
Avvocato: “Grazie sono collegata” ore 10.31
(nel mentre viene celebrata l’udienza)
Cancelliere: “A me non risulta. Controlli” ore 10.38
Avvocato: “Sono dentro teams ma non riesco a vedere un canale dedicato per l’udienza (lo uso normalmente per lavoro, è sempre connesso).” ore 10.42
Avvocato: “Riesce a chiamarmi? Oppure l’udienza è già stata celebrata?” ore 11.09
Cancelliere: “Si l’udienza si è conclusa” ore 11.13
In poche righe di “conversazione telematica” tra avvocato e cancelliere è ben esemplificata una delle possibili applicazioni distorte della nuova modalità di celebrazione del processo penale: l’avvocato di fiducia si collega alla piattaforma ed è in attesa, il cancelliere verifica la connessione, un giudice nel mentre celebra in pochi minuti l’udienza avvalendosi dell’avvocato d’ufficio.
Questo è quanto è successo davvero in un’udienza “telematica” avanti ad un Tribunale di Sorveglianza ove, in concreto, è stata impedita la partecipazione del difensore di fiducia, avvocato Federica Genovesi, regolarmente collegato alla piattaforma messa a disposizione dal Tribunale per la celebrazione dell’udienza e abbiamo la certezza che non sia affatto un caso isolato.
StraLi ha sostenuto l’impugnazione del provvedimento di fronte alla Corte di Cassazione per quella che si appalesava come un’evidente violazione del diritto di difesa dell’imputato. StraLi si prefigge di fare Strategic Litigation in un sistema come quello italiano che ormai, più o meno esplicitamente, attribuisce al precedente giurisprudenziale (soprattutto con riferimento alle pronunce della Corte di legittimità) un ruolo decisivo nella risoluzione delle controversie. Il caso in esame appariva dunque assolutamente idoneo a contestare l’illegittimità di una delle possibili prassi distorte nell’uso di un nuovo mezzo di celebrazione del processo e quindi a formare un “principio di diritto” relativo alla nuova situazione dell’avvocato che tenta di “connettersi” all’udienza.
In alcuni però casi il singolo potrebbe non avere un interesse diretto a far valere quella violazione (ad esempio in quanto preferisce patteggiare o la sua pena o la sua misura cautelare termina in un momento precedente alla possibile pronuncia positiva del giudice dell’impugnazione) in tal modo rendendo inutile o svantaggiosa la proposizione dell’impugnazione.
Questi casi sono all’ordine del giorno nel nostro sistema giuridico: quante volte interessi contingenti o costi dell’impugnazione scoraggiano le persone a far valere diritti palesemente violati?
StraLi nasce anche per questo: nel caso supportato dall’associazione quest’ultima si è fatta carico di tutti i costi dell’impugnazione, nonostante la Corte di legittimità potesse pronunciarsi in un momento successivo alla scarcerazione del condannato. Così è andata (i tempi di fissazione delle udienze in Cassazione visto il carico di lavoro sono un ulteriore problema del nostro ordinamento) ma, consci di tale possibilità e dell’obiettivo, avevamo richiesto comunque che la Corte pronunciasse un principio di diritto (avevamo dedotto nel caso una nullità assoluta del provvedimento in quanto emesso senza l’assistenza del difensore di fiducia).
La Corte pur descrivendo l’udienza come celebrata “premettendo la presenza del difensore di fiducia nella cd. “stanza virtuale” e violando il diritto di difesa del condannato” ha dichiarato inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Ancor più interessante risulta però l’impostazione della Procura Generale della Corte di Cassazione data nel caso (e che potrà essere la stessa in casi analoghi) che aveva chiesto l’annullamento insieme alla difesa esplicitamente rilevando che “l’udienza si è svolta senza la partecipazione dell’incolpevole, pur presente a distanza, difensore di fiducia”.
Secondo la Procura Generale questa nuova situazione sarebbe paragonabile, a livello di nullità, al caso in cui venga omesso l’avviso al difensore della data di celebrazione dell’udienza così configurando, per i giuristi, un’ipotesi di “nullità assoluta ed insanabile” che può dunque essere fatta sempre valere nel processo. Tale principio parifica situazioni diverse naturalisticamente ma assimilabili a livello di violazione del diritto di difesa: impedire al difensore la partecipazione da remoto all’udienza è identico a non mandargli l’avviso della celebrazione dell’udienza in presenza.
Tale orientamento, unico che riteniamo di sicura tutela del diritto di difesa del condannato/imputato, potrà dunque essere confermato da successive pronunce.
Segnalateci quindi potenziali casi simili per contribuire a cristallizzare questo giusto principio di diritto.
A cura di Emanuele Ficara e Federica Genovesi
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