Perché in Italia si parla ancora di maternità senza considerare la crescita dellз figlз come un compito da condividere all’interno di una coppia? Parliamo qui di congedo parentale, facendo un confronto tra Italia e Svezia.
Johan Bävman, Swedish Dads, 2015 (http://www.johanbavman.se/swedish-dads/)
Il congedo parentale è il diritto ad un periodo di astensione dal lavoro spettante sia alla madre, sia al padre, qualora lavorino, per prendersi cura della prole e soddisfarne bisogni affettivi e relazionali. In questo articolo parleremo di coppie etero-genitoriali, analizzando la questione in un’ottica binaria.
In quasi tutti i Paesi europei, oltre al congedo parentale, viene garantito sia alla madre che al padre, un congedo di maternità e di paternità obbligatorio, ovvero un periodo di astensione dal lavoro a cavallo del parto durante il quale viene garantita un’indennità elevata. In Italia il congedo di maternità dura cinque mesi, con indennità garantita all’80% della retribuzione; quello di paternità dura dieci giorni, con indennità al 100%.
Perché questa differenza così drastica? Da dove possiamo cominciare a parlare di uguaglianza di genere, se non affrontando questo stereotipo all’origine di tutte le discriminazioni di genere nell’ambito del lavoro e della cura? Le donne si occupano della riproduzione sociale, gli uomini lavorano. Il fatto che la cura della prole ricada solo sulle spalle delle donne rappresenta l’ostacolo principale all’aumento dell’occupazione femminile, e quindi anche alla crescita del Paese.
Il 22 giugno il governo italiano ha approvato una serie di decreti legislativi che recepiscono la direttiva europea 2019/1158, in tema di equilibrio di attività professionale e vita familiare. La direttiva UE impone agli Stati membri di garantire un periodo minimo di dieci giorni di congedo di paternità, e il diritto individuale al congedo parentale di minimo quattro mesi, dei quali due mesi non possono essere trasferiti tra madre e padre. Grazie a questa nuova legge, in Italia i giorni di congedo di paternità obbligatorio sono passati da sette a dieci, retribuiti al 100%. Inoltre il periodo di congedo parentale facoltativo è aumentato a dodici mesi, indennizzato al 30%. A ciascun genitore spettano tre mesi non trasferibili da un genitore all’altro.
Se sembra che abbiamo fatto dei passi avanti, in realtà non è affatto così. Secondo i dati dell’INPS, in Italia oggi la percentuale di papà che fruiscono del congedo è circa il 20%. Sebbene l’introduzione di tre mesi di congedo parentale non trasferibile, sia volto ad incoraggiare i padri a fruire del congedo e agevolare il reinserimento delle madri nel mondo del lavoro, questo non ne garantisce l’effettiva fruizione da parte dei padri. Un problema sostanziale è la scarsa retribuzione, ancora troppo bassa rispetto agli standard europei.
Guardiamo all’esempio della Svezia, che già da quarant’anni porta avanti un sistema che ha permesso di aumentare sia il tasso di natalità che il livello di occupazione femminile, oltre che ad ottenere vantaggi enormi per il benessere di tutta la famiglia. La Svezia è stata il primo Paese al mondo a sostituire il congedo di maternità con il congedo parentale nel 1974, con ferie che potevano essere prese da entrambi i genitori. Oggi lo Stato svedese garantisce congedi parentali della durata di oltre un anno, che sono suddivisi equamente all’interno della coppia.
Il problema non è solo normativo, ma anche culturale. Anche in Svezia la concordia paritaria è stata raggiunta lentamente. All’inizio erano pochi i padri che usufruivano del congedo. Nel 1974 l’agenzia di previdenza sociale Svedese Forsakingskassan, l’equivalente della nostra INPS, investì in una campagna pubblicitaria di sensibilizzazione per stimolare i padri a usufruire del congedo. Un gigantesco sollevatore di pesi è stato fotografato in mansioni ‘da padre’, mentre andava a prendere lə figliə a scuola o lə teneva tra le sue braccia. Il messaggio che si voleva trasmettere era: se lui che è macho-man non si vergogna di fare il papà, perché dovresti farlo tu? Eppure la campagna non fu un grande successo. La vera svolta avvenne nel 1995, con l’introduzione della ‘daddy quota’, una legge che prevedeva che i padri si prendessero un mese di congedo, esclusivamente per loro e i propri figli, retribuito all’80%. Se i padri non si fossero presi questo periodo di astensione da lavoro che gli era stato concesso, lo avrebbero perso. Nel corso degli anni questo periodo è stato gradualmente esteso e oggi è di tre mesi interi. All’aumentare del periodo di congedo, è cresciuto anche il numero di padri che ne usufruivano. Oggi grazie a queste daddy quota, nove padri su dieci fruiscono del congedo.
Nonostante il mancato successo della campagna pubblicitaria con il body-builder, il cambiamento culturale è un ostacolo reale. Nel 1993, in Svezia è stata fondata l’associazione no profit MÄN che si occupa di promuovere una paternità responsabile e lavorare sulla ridefinizione di mascolinità. Si parla molto in Svezia di crisi e rinascita dell’uomo occidentale. Letterati e registi hanno esplorato questo tema, come per esempio il regista Ruben Ostlund nel film The Square o Force Majeur, dove viene interrogata e decostruita l’idea di mascolinità. O anche il fotografo Johan Bävman, con il progetto fotografico Swedish Dads ha riportato l’esperienza di quarantacinque padri che in Svezia hanno fruito del congedo di paternità, aprendo un dibattito su come mai questi padri vengano considerati ‘speciali’.
Non si tratta di voler cancellare le differenze tra uomo e donna, ma di mettere in discussione il modo in cui queste differenze possano continuare a essere le basi su cui si fondano le diseguaglianze sociali e in termini di diritti.
Qualcuno potrebbe dire che siamo molto lontani dalla Svezia dal punto di vista geografico, economico e culturale, ed effettivamente, se si pensa soltanto al fatto che in Svezia il congedo di paternità è stato introdotto nel 1974 e in Italia nel 2012, le differenze sono evidenti. Eppure anche la nostra vicina Spagna, dal primo Gennaio 2021 ha introdotto il diritto a sedici settimane di congedo non trasferibile da un genitore all’altro, e retribuito al 100%. Le prime sei settimane sono obbligatorie, le altre dieci sono facoltative.
Perché mentre la Svezia e la Spagna compiono delle scelte determinanti nella direzione della condivisione dei lavori di cura, noi procediamo per micro avanzamenti, e piuttosto che parlare di condivisione, quando si parla di genitorialità e lavoro, continuiamo a parlare di conciliazione?
A cura di Luciana Fabbri
Comments