A maggio 2024, sono più di trenta le persone detenute che si sono tolte la vita nelle carceri italiane. Numeri tristemente in linea con quelli degli ultimi anni: il più alto numero di suicidi nei luoghi di detenzione in Italia negli ultimi dieci anni si è registrato solamente nel 2022, con ottantaquattro suicidi.
La situazione appare preoccupante se, insieme a questi dati, teniamo conto del rapporto tra i suicidi nei luoghi di privazione della libertà e i suicidi tra il resto della popolazione. In carcere ci si toglie la vita diciotto volte più frequentemente che tra la popolazione all’esterno.
I dati parlano chiaro: il disagio psicologico in carcere è un fenomeno esteso. A quasi seimila delle persone detenute in Italia è stata diagnosticata una malattia psichiatrica grave.
Le risorse destinate dal Ministro Nordio per migliorare l’assistenza psicologia e psichiatrica in carcere sono fondamentali. Tuttavia, queste misure non sono sufficienti. È necessario attuare cambiamenti più radicali che migliorino la vita sia dentro che fuori dal carcere. È importante chiedersi: quanti di questi suicidi erano prevedibili e quindi potevano essere evitati? Quante di queste persone non erano nelle condizioni di poter essere rinchiuse?
Il diritto alla salute, riconosciuto come un diritto umano nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966, stabilisce che ogni individuo deve “godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire.”
Quando si parla di carcere, si discute spesso della difficoltà di tutelare la salute fisica nei luoghi di detenzione. Ma quanto si pensa alla salute mentale delle persone detenute?
Al momento, nonostante l’altissimo uso di antipsicotici e antidepressivi, la presenza oraria di personale psichiatrico e supporto psicologico all’interno delle carceri è troppo bassa per soddisfare i bisogni dei soggetti più vulnerabili e per garantire loro un’adeguata assistenza. Garantire assistenza psicologica e psichiatrica adeguata è per l’Italia, oltre ad un obbligo internazionale, il punto di partenza per evitare che altre vite vengano perse nel buco nero che costituisce la detenzione oggi.
Gli Stati, come delineato dalle Regole dell’ONU sullo standard minimo per il trattamento dei prigionieri, numero 24 e 25(1), dovrebbero fornire assistenza sanitaria adeguata per le persone detenute affette da malattie psichiatriche. Non solo devono essere creati servizi di assistenza sanitaria all’interno delle carceri per proteggere e migliorare la salute fisica e mentale delle persone detenute; la Regola 109 suggerisce che coloro a cui vengono diagnosticate malattie mentali durante la detenzione, non debbano rimanere in carcere se ciò comporta un aggravarsi delle loro condizioni, offrendo strutture alternative specifiche per la salute mentale. Queste strutture, insieme al personale qualificato, dovrebbero collaborare con i servizi offerti alla comunità per un'assistenza completa. E sono proprio i servizi basati sulla comunità (community-based), come per esempio le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), che potrebbero aiutare a garantire una terapia individualizzata e costante.
Ciò che anche la Corte Europea dei Diritti Umani (Corte EDU) continua ad enfatizzare è, infatti, la necessità di offrire assistenza sanitaria psicologica su misura dellə paziente.
Ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), le condizioni di detenzione devono rispettare la dignità umana e, sebbene nella CEDU il diritto alla salute non sia esplicitamente tutelato, i governi nazionali devono porre proprietà sulla salute, fisica ma anche mentale, delle persone detenute, fornendo l’assistenza medica necessaria, tenendo conto delle esigenze individuali. La privazione di cure adeguate o la somministrazione di cure non adeguate possono violare la dignità di un individuo ed ammontare a torture o trattamenti inumani e degradanti, specialmente all’interno del carcere dove lo Stato ha obblighi nei confronti delle persone detenute.
In Renolde c. Francia, la Corte EDU ha dichiarato che devono essere adottate misure speciali per persone detenute affette da patologie psichiatriche per poter assicurare un trattamento umano. Ma cosa comprendono queste misure?
La decisione chiave Rooman c. Belgium, riguardo alla violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani nei confronti di una persona detenuta che necessitava di un trattamento specializzato a causa della diagnosi di disturbi psicosociali mentre scontava la pena in carcere, ha sottolineato l’importanza di un trattamento personalizzato per le persone detenute con malattie psichiatriche, evidenziando lo scopo terapeutico della detenzione e le necessità di strategie terapeutiche globali.
Anche l’Italia, nella sentenza Sy c. Italia, ha recentemente ottenuto una condanna per aver sottoposto a trattamento disumano un soggetto detenuto con malattia psichiatrica in un carcere ordinario, fallendo di garantire una terapia psichiatrica mirata. Inoltre, ha riscontrato anche una violazione del diritto di libertà e sicurezza all’articolo 5 della CEDU per la detenzione non regolare del soggetto detenuto e per non averlo prontamente trasferito all’interno di una REMS, nonostante l’ordinanza dell’autorità giudiziaria, per motivi di deficit strutturali. La mancanza di posti nelle REMS non può giustificare la continua detenzione del condannato all’interno del carcere.
La totale mancanza di assistenza psichiatrica, come si è visto nella causa Murray contro i Paesi Bassi, è stata ritenuta una violazione dell'articolo 3 della CEDU. La Corte EDU ha ribadito l'importanza di fornire le cure necessarie anche se ciò richiede il trasferimento in strutture specializzate, all’esterno del perimetro carcerario.
Altri aspetti evidenziati dalla Corte di Strasburgo riguardano questioni come la mancanza di continuità delle cure all’interno del carcere, l’insufficiente formazione del personale e la mancata considerazione della vulnerabilità delle persone detenute con problemi mentali. Si è constatato che questi fattori contribuiscono a un'assistenza mentale inadeguata e violano l'articolo 3 CEDU.
In conclusione, le sentenze della Corte EDU sottolineano l'importanza di fornire un'adeguata assistenza sanitaria mentale alle persone detenute, garantendo un trattamento individualizzato, la continuità delle cure e la considerazione della vulnerabilità. Il mancato rispetto di questi standard costituisce una violazione dei diritti umani ai sensi della CEDU.
Non riuscire a garantire un’adeguata assistenza psichiatrica in carcere non lede solo i diritti umani delle persone detenute, quale il diritto alla salute mentale o il rischio di maltrattamenti. È anche opportuno considerare che l’assistenza terapeutica gioca un ruolo fondamentale nella riabilitazione della persona detenuta, principio garantito dalla nostra Costituzione all'articolo 27 comma 3. La riabilitazione è resa impossibile se la cura della salute mentale non è adeguata, individualizzata o è completamente assente.
Essendo l'Italia tenuta a fornire pene finalizzate alla rieducazione delle persone condannate e considerando la mancanza frequente di cure terapeutiche individualizzate all'interno dei luoghi di detenzione, la riabilitazione, mediante pene alternative al carcere e concentrate sulla cura terapeutica, potrebbe essere un'opzione più efficace e maggiormente concentrata sulla riabilitazione e socializzazione dell'individuo affetto da disturbi mentali, secondo quanto scrive il Professor Giovanni Torrente dell’Università di Torino.
Questo problema potrebbe essere risolto grazie alle REMS, le quali però sono oggetto di complessità strutturali. Nel 2023 erano circa 526 le persone in attesa di entrare in una Residenza. Questo è dovuto alla mancanza di posti all’interno delle REMS, allo scarso numero di REMS nel territorio italiano, ma anche alla mancanza di altre alternative. Alla fine del 2022 le REMS riuscivano ad ospitare un massimo di 592 persone, troppo poche rispetto ai 1118 soggetti che ne necessiterebbero.
I dati allarmanti sui suicidi nelle carceri italiane evidenziano una crisi profonda che richiede azioni concrete e immediate. È chiaro che molti di questi tragici eventi potevano essere prevenuti, tenendo conto delle condizioni più specifiche, come le malattie psichiatriche, delle persone detenute che necessitano piuttosto di cure ad hoc per la loro salute mentale non garantite all’interno del carcere. Tuttavia, le complessità strutturali e la cronica carenza di posti disponibili rappresentano ostacoli significativi. È urgente affrontare questa situazione, anche considerando il problema delle liste d'attesa che rallentano l'accesso ai servizi necessari.
Per garantire il rispetto dei diritti umani, la dignità e la salute mentale dei detenuti, è essenziale che l'Italia adotti misure immediate per migliorare l'assistenza psichiatrica nelle carceri e per sviluppare ulteriormente le REMS. Solo attraverso un impegno concreto e una risposta tempestiva possiamo sperare di porre fine a questa tragica realtà e offrire un futuro più sicuro e dignitoso per i soggetti più vulnerabili.
A cura di Sofia Vanzan